Il morbo di Parkinson è una delle malattie neurologiche più frequenti ed è caratterizzato principalmente da disturbi del movimento muscolare, mentre l'intelletto e la personalità dei pazienti in molti casi e per molto tempo non subiscono alterazioni di rilievo.
Si distinguono tre tipi di sintomi:
Bradicinesia: una lentezza generale del flusso dei movimenti con difficoltà ad iniziare e arrestare movimenti come per esempio il cammino,
Rigidità muscolare del tronco e degli arti,
Tremore: un tremore particolare di gruppi muscolari che si blocca appena il paziente inizia un movimento volontario (tremore a riposo).
I sintomi iniziano gradualmente nella maggior parte dei casi attorno ai 55 anni e aumentano lentamente; più raramente, possono verificarsi in persone di giovane e media età. La malattia è dovuta a una degenerazione di particolari cellule nervose (neuroni dopaminergici della sostanza nigra) nel tronco dell'encefalo. Questi neuroni sono connessi con altri centri cerebrali (gangli basali) e producono la dopamina, una molecola che intermedia la comunicazione tra cellule nervose (neurotrasmettitore). Con la neurodegenerazione del morbo di Parkinson viene a mancare la dopamina e si crea uno squilibrio tra i centri nervosi che controllano i movimenti automatici (sistema extrapiramidale).
Per la maggior parte, i casi sono sporadici e non si conoscono cause specifiche, anche se una serie di dati recenti suggerisce una possibile causa tossica. Le rare forme familiari sono dovute a mutazioni (errore spontaneo della informazione genetica che comporta la sintesi di proteine alterate) nei geni di alpha-sinucleina, parkina e Dj-1. La sinucleina è una componente delle aggregazioni intracellulari (corpi di Lewis) che accompagnano la neurodegenerazione ed è attualmente nel centro dell'interesse scientifico molecolare.
La farmacoterapia si basa sulla sostituzione della dopamina (introdotta nel 1967, premio Nobel a Arvid Carlsson nel 2000) e migliora drasticamente la qualità della vita dei pazienti. Inoltre riduce le complicanze da cadute e danneggiamenti cronici delle articolazioni e riduce la necessità di assistenza garantendo una aspettativa di vita normale. I principali farmaci sono il precursore della dopamina (levodopa) e molecole che imitano la sua azione (dopaminergici: bromocriptina, cabergolina, diidroergocriptina, lisuride, pergolide, ropirinolo, pramipexolo). I dopaminergici sono oggi considerati farmaci di prima scelta per iniziare la terapia in quanto evitano le discinesie (movimenti bruschi e involontari) indotte dall'uso prolungato della levodopa. Altre sostanze inibiscono la degradazione della dopamina (inibitori della MAO-B: selegelina; inibitori della COMT: entacapone) o interferiscono con un altro neurotrasmettitore, l'acetilcolina (anticolinergici: biperidene, triesifenidile, bronaprine). Poiché i farmaci non agiscono solo a livello delle cellule degenerate ma anche su altri sistemi nervosi, possono causare effetti collaterali psichici, cardio-circolatori o gastrointestinali. È perciò importante individuare nel singolo paziente e per ogni stadio della malattia quale farmaco o quale combinazione di farmaci abbia il massimo effetto con un minimo di effetti collaterali. Oltre alla farmacoterapia sono essenziali un continuo esercizio fisico e, con sintomi più gravi, una regolare fisioterapia.
Recentemente si sta affermando la terapia chirurgica che usa l'impianto di elettrodi stimolanti in determinati nuclei del sistema extrapiramidale. La terapia chirurgica comporta un rischio di infezioni ed emorragie intracerebrali e richiede una buona collaborazione tra neurologi e neurochirurgi esperti sia per garantire l'esatto posizionamento degli elettrodi sia per fornire la necessaria assistenza postoperatoria. Perciò questa terapia è riservata a centri specializzati e a pazienti con sintomi gravi in cui è stata dimostrata l'inefficacia dei farmaci oppure un certo tipo di intolleranza alla levodopa (fluttuazioni spiccate dell'efficacia, forti movimenti involontari), che si può instaurare dopo una terapia prolungata con levodopa. Le terapie chirurgiche con impianto di cellule embrionali non hanno dato risultati soddisfacenti e oggi sono da considerarsi sperimentali.
Il futuro della ricerca sta nella individuazione di farmaci sempre meglio tollerati e nella precisa definizione del ruolo degli agonisti dopaminergici nella terapia iniziale, nella scoperta dei meccanismi molecolari che provocano la neurodegenerazione con la successiva speranza di bloccarli e di arrestare in questo modo la progressione dei sintomi, e infine nella elaborazione di protocolli chirurgici sempre più sofisticati.
(DAL WEB)